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Le vite di Dubin – Bernard Malamud

Le vite di Dubin - Bernard Malamud

In Le vite di Dubin di Bernard Malamud la scrittura sa proporsi solida, incisiva e ispirata, cesellando i sentimenti e sostenendo mirabilmente una commedia della vita che alterna momenti comici a tragedie della quotidianità. L’autore ha la grande capacità di far sentire sulla pelle il peso dei lenti passaggi di tempo su un’anima di passaggio.

Le vite di Dubin di Bernard Malamud

William Dubin è l’incontrastato protagonista di questo gran bel romanzo: Dubin e la sua vita, Dubin e le vite di cui scrive, Dubin e la moglie, Dubin e i figli, Dubin e l’amante. Un intrigo di pensieri che si sviluppano attraverso pochi eventi, soffocando una vita che ha sempre stentato a decollare e ha preferito rifugiarsi in quella di altri.

La scrittura di Malamud sa proporsi solida, incisiva e ispirata, cesellando i sentimenti e sostenendo mirabilmente una commedia della vita che alterna momenti comici a tragedie della quotidianità. Forse si scorge qualche passaggio di stanca qua e là, o forse si tratta della capacità dell’autore di far sentire sulla pelle il peso dei lenti passaggi di tempo su un’anima di passaggio.

Le vite e Dubin

Il passato trasuda leggenda: non si ricava argilla pura dal fango del tempo. Non esiste vita che possa essere ricreata integralmente, così come è stata. E ciò equivale a dire che ogni biografia è, in ultima analisi, narrativa. Che cosa dice, questo, della natura della vita, e qualcuno vuole davvero saperlo?

Un’affermazione che rivela in pieno la vita di Dubin che, in quanto biografo, si occupa delle vite degli altri. Il protagonista si è fatto vivere dagli eventi, irresoluto subisce il rimpianto costante di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, con la speranza mai sopita di potere ancora qualcosa.

Si è fatto anche vivere dalle vite raccontate nei propri libri, tanto è vero che influiscono sulla sua, irretendolo in pensieri che non gli apparterrebbero. Si è fatto vivere dalle circostanze, dalle proprie aspirazioni appena accennate, dalle donne che ha incontrato sulla via. Il risultato è che si trova ad essere spiazzato dovunque si volti, cercando, più che risposte, vie d’uscita forzata.

L’intreccio di vite in questo libro è da vertigini e tutte scavano sull’esserci del protagonista con incisioni profonde. Ma tutto è narrazione, appunto, in questo caso la narrazione di se stessi alla propria coscienza e agli altri. Dubin produce narrativa sulla sua stessa vita nel momento in cui la vive, con tutta la problematicità dei lavori in corso in una piccola strada accidentata su cui continua il passaggio. La narrazione più amara è di quel che non è stato, perché non sa nemmeno bene cosa avrebbe potuto essere, arranca più che altro lontano da quel che è.

Così Fanny, la giovane amante vissuta tra alti e bassi, è la via di uscita dalla vita matrimoniale e l’occasione finalmente da cogliere il residuo di vita che pareva smarrito. Però Dubin non abbandona il tetto coniugale, non solo per paura o conformismo, fattori di certo presenti, ma anche perché il suo sbilenco desiderio non lo porta definitivamente lontano da dov’è, facendogli assaporare la nuova vitalità come ora d’aria più che come via di fuga. Come sempre, la sua via di fuga rimane potenziale.

La natura nell’uomo

Una menzione per la natura che segna il passo dei giorni di Dubin. Una natura pervasiva sposta e rispecchia gli umori del protagonista, i cambiamenti stagionali hanno quello stesso pessimo tempismo che ha il biografo.

Dubin e Kitty si sono trasferiti in campagna per allevare i figli in un ambiente più salubre, anche a livello umano, rispetto alla fagocitante e pericolosa città di New York. Dubin cerca disperatamente di trovare un contatto con la natura, di capirla, così come aveva fatto Thoreau, di cui Dubin ha scritto la biografia. Ma Dubin non arriva mai a carpirne il cuore, il segreto, la verità, non sa da che parte guardare, cerca disperatamente ma non ne viene a capo.

La mancanza di sintonizzazione con la natura è la stessa che Dubin ha nella vita. La descrizione di Malamud dei paesaggi, delle piante, del clima, del cielo ha l’andamento ondivago degli stati umani del protagonista: sempre sbagliati, sempre fuori dima, alla ricerca di qualcosa che non afferra e afferrando quello che non cerca.

L’inferno del matrimonio

La rappresentazione della vita matrimoniale tra Dubin e Kitty è qualcosa di magistrale, una messa in scena talmente ricca di particolari e sfaccettature da avere la precisione disarmante della vita. Non solo le sensazioni di Dubin che vanno a periodi e a momenti, ma anche i dialoghi tra i coniugi contribuiscono alla profondità del racconto, in un’alternanza di elettricità e stanchezza che sfinisce.

C’è un passo sul momento della loro vita a due, o meglio a tre, davvero suggestivo:

[…] Ecco Kitty che guarda fuori da una finestra in cui si riflette il suo viso e scorge nel bosco, in lontananza, l’ombra di una presenza; consapevole forse di qualcosa che non è spaventoso ma può essere fonte di paura? Dubin, guardando attraverso lo stesso vetro, vede chiaramente se stesso, e vede Fanny, in bianco, appena delineata in piedi accanto a lui, quasi invisibile. Lui perlustra il vetro, fra immagini di alberi fronzuti e di nuvole tenui che si fanno sempre più scure, in cerca di Kitty, aspettandosi che sia riflessa lì accanto; ma Kitty è sola, tra alti alberi, nella lontananza più profonda. […]

Già il modo in cui si sono conosciuti Dubin e Kitty risente della casualità che unisce due persone: una lettera in cui lei si proponeva in moglie viene intercettata per caso da lui che si propone a sua volta. Il senso della scommessa dei rapporti è bello che apparecchiato come base portante. Dubin e Kitty portano avanti una scommessa consolatrice che si rivela sempre più scomoda, ma non del tutto persa.

E poi i figli, questi esseri umani cresciuti riversandovi le proprie speranze e scappati di casa per inseguire qualcosa di imprecisato, in via di sviluppo senza vedere approdo certo.

Infine l’amante, quella Fanny che esaspera gli stati d’animo di Dubin, lo lancia in una corsa tarda e appassionata, lo stravolge e gli leva l’inerzia. Lo cambia? Forse solo lo incasina, lo illude.

Un’ultima considerazione, non perché non ce ne siano altre da fare su un libro di rara intensità come questo, ma per smetterla di ammorbarvi. Non ricordo un finale più comico, improbabile, poetico, romantico, folle, bislacco, scalcinato, significativo, rocambolesco, di quello proposto da Malamud in questo libro.

Bernard Malamud – Le vite di DubinMinimum Fax
Traduzione: Bruno Oddera e Giovanni Garbellini

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