Un viaggio a Klagenfurt di Uwe Johnson è un testo particolarissimo, un lavoro certosino, un taglia e cuci pregno di intenzioni, un puzzle in cui le tessere selezionate, all’apparenza casuali, forniscono un quadro lucido e disincantato nella misura in cui affondano nell’animo di una persona e di una città.
Un viaggio a Klagenfurt di Uwe Johnson
Si dovrebbe essere soltanto e unicamente uno straniero per riuscire a sopportare un luogo come Klagenfurt più a lungo di un’ora, o per vivere qui per sempre, soprattutto non sarebbe lecito essere cresciuti qui ed essere io, e poi ritornarci ancora.
Parto con una citazione e già ho tradito il libro di cui parlo, mai però come questo mondo editoriale italiano che costringe quasi tutto Uwe Johnson fuori catalogo (magari perché lo leggerebbero in pochissimi e quindi a ragione, forse). Perché la frase citata non è presente intera nel testo, è singhiozzata, suggerita con tensione alla conclusione, le sue parti sono inframmezzate da altro testo che ne scoperchia meglio il senso. Nemmeno, la prima parte viene presentata in progressione, aggiungendo parti di frase dopo ogni interruzione, ma poi viene presentata la parte conclusiva con l’esclusione delle parole appena precedenti che si scoprono solo a fine capitolo.
La frase per altro non è nemmeno di Johnson, ma di Ingeborg Bachmann, scrittrice austriaca, di Klagenfurt appunto, morta a Roma dove da tempo aveva deciso di vivere. Johnson, amico e ammiratore della scrittrice, la omaggia a modo suo, giocando di letteratura piuttosto che di pietà, aspirando a ricostruire il mondo che l’ha segnata appoggiandosi ad un distacco stilistico significativo, capace di rendere suggestiva la forma fino a donarle essenza. Quantomeno una parte di essenza, che l’intero è una chimera perennemente inseguita e impossibile da afferrare.
Si tratta di un testo particolarissimo, creato attraverso spezzoni vari: di guide turistiche, di articoli di giornale, di elenchi, di orari, di atti ufficiali e altro, incluse naturalmente le parole di Bachmann, tratte dai suoi scritti, dallo scambio epistolare e le conversazioni tra i due scrittori. Poi Johnson ci mette del suo, soprattutto molta ironia, anche se difficilmente si intravede la sua prosa fenomenale, si tratta di innesti che accompagnano, aiutano ad ottenere un discorso unitario. Discorso che non si presenta conseguente nemmeno a livello temporale, mischiando il passato e il presente rappresentato dal viaggio a Klagenfurt di Uwe Johnson, sulle tracce di una memoria altrui che si è concretizzata in vita e opera letteraria.
Vita a pezzi
Inoltre ogni necrologio non può che essere un’indiscrezione.
Il lavoro di Johnson è certosino, un taglia e cuci pregno di intenzioni, un puzzle in cui le tessere selezionate, all’apparenza casuali, forniscono un quadro lucido e disincantato nella misura in cui affondano nell’animo di una persona e di una città. Comincia con il viaggio, con la geografia di un turista che naviga sulla scorta della testimonianza raccolta nel tempo dall’amica, e passa attraverso la storia di Klagenfurt, che comprende l’accoglienza entusiastica dei nazisti, i luoghi e gli eventi che hanno visto la formazione della scrittrice, non tralasciando accenni al periodo romano.
Tutto con una freddezza espositiva che non sa lasciare indifferenti, perché mentre il testo si dispiega, si scorge il progetto che di freddo non ha nulla. Johnson spezzetta la storia, ne raccoglie stralci attraverso le testimonianze, si lascia guidare dalle parole scritte e orali che gli indicano la direzione, smonta la scatola nera per sviscerarne le conseguenze, lavora il tessuto della realtà rivelandone, ancora una volta, la natura congetturale, la precarietà semantica. Un’immersione nelle origini dell’amica, origini anche della sua sofferenza, che vengono rilevate nelle loro criticità, mettendole davanti ad uno specchio tanto lucido quanto deformante.
In tutto questo non bisogna dimenticare che il libro è un omaggio a Ingeborg Bachmann, certo insolito, impervio, ma non per questo meno sentito, di sicuro non meno efficace. Le pagine richiedono, come sempre in Johnson, una grande attenzione nel lettore, uno sforzo attivo imprescindibile. D’altronde è forse uno sforzo che dobbiamo, se non a lui, alla scrittrice di cui si parla. In fondo quale omaggio migliore di comporre righe asettiche nella forma e pregnanti nella sostanza, chiedendo al lettore di partecipare, di provare a interessarsi attivamente al destino di Bachmann, cercare di inseguirla laddove la sua storia ha avuto inizio ed è stata sepolta, seguendone le tracce senza pigrizia, senza rimanere turisti dell’animo da viaggio organizzato.
Un libro che ancor prima della genialità dello scrittore ne rivela la sensibilità fuori dal comune. E poi certo, la genialità.
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Uwe Johnson- Un viaggio a Klagenfurt – SE
A cura di: Luigi Reitani