Santo Marchese Cantamessa di Nando Bocca è un esordio davvero ben concepito, romanzo divertente e gustoso, scritto con sapienza e con il giusto riconoscimento ai capolavori del genere. L’idea davvero interessante di tutto lo scritto è quella di far passare ogni tanto il protagonista inosservato per concentrarsi sulle figure che gli stanno attorno.
Santo Marchese Cantamessa di Nando Bocca
“Ricorda: prestagli un soldo e prendigli tutto…Tutto”
Queste la parole scolpite nella mente della famiglia Cantamessa, famiglia di usurai da generazioni che, con onorata costanza, si è occupata di tenere sotto controllo il mercato dei prestiti in nero in un piccolo paesino del Piemonte dal 1889.
Ma il mondo si evolve, si sa, e così arriviamo presto al ventennio fascista, dove l’ultimo di una lunga stirpe di usurai aspira alla beatificazione sociale, al riconoscimento pubblico. Benedetto Cantamessa, nei giorni precedenti la nascita del suo erede, al figlio vuole dare un nome che possa farlo riconoscere come un elemento dell’alta società, non più un oscuro usuraio.
Così si apre Santo Marchese Cantamessa di Nando Bocca, opera prima di un architetto con la passione per la scrittura, ed anche un certo talento aggiungiamo noi.
L’ambientazione di questo romanzo è il Piemonte dei primi del Novecento, dove sacro e profano si confondono, si contaminano e alla fine se la ridono.
Come già detto, la narrazione si apre con i giorni che precedono la nascita dell’ultimo di una generazione di usurai, il padre, anello di congiunzione fra le due epoche, cerca un nome che possa aprire al figlio le porte dell’alta società. Alla fine, dopo un consulto con il commesso dell’anagrafe, che curiosamente di chiama Lamorte, si decide per Santo Marchese, un nome riconoscibile come nobile e che lo salva dal nome, molto di moda all’epoca, Benito.
Venuto al mondo, Santo Marchese Cantamessa si trova a vivere in un mondo arcaico e autoritario che lentamente si sta chiudendo dentro sé stesso, aiutato dall’avvento del Fascismo.
“Santo marchese era un bambino bellissimo, quando sua madre lo vestiva per la festa sembrava una bambola di pannolenci. […] ma proprio come una bambola di pezza, aveva lo sguardo privo di personalità, non era curioso e vispo come tutti i bambini di quell’età, cresceva timoroso e introverso”.
Figlio di cotanta dinastia, Santo Marchese ha difficoltà ad entrare in contatto col mondo circostante, duro, furbo, spietato. Con la morte del padre, inoltre, il povero Santo Marchese diventa ostaggio di una madre soffocante e in cerca di riscatto sociale. Anche la compagnia dei ragazzini non è meno soffocante, insomma il mondo sembra un posto in cui Santo Marchese è capitato per essere vittima delle nevrosi altrui.
Le cose peggiorano, ma assumono un contorno farsesco mentre tutto intorno il mondo si impegna in una guerra che ormai tocca lentamente le propaggini italiane.
Santo Marchese Cantamessa è un romanzo divertente e gustoso, scritto con sapienza e con il giusto riconoscimento ai capolavori del genere. Si sentono gli echi dei Malavoglia, anche se in salsa dolce e amara, ma si sente anche Gesualdo Bufalino, soprattutto nel modo di trattare le parole e di giocare con la metrica del racconto, cercando di creare mulinelli che travolgano il lettore verso il personaggio narrato.
C’è anche una critica sociale in questo primo lavoro di Nando Bocca, edulcorato da un racconto frizzante e divertente, ci scontriamo con l’ottusità di un Piemonte arcaico, lento, arcigno e ovviamente attraversato da fascinazioni pericolose.
Ovviamente è l’invenzione del personaggio di Santo Marchese che tiene tutto il racconto unito da uno stupore di fondo, ma l’idea davvero interessante di tutto lo scritto è quella di far passare ogni tanto il protagonista inosservato per concentrarsi sulle figure che gli stanno attorno.
Italia, per esempio, madre del piccolo, è una figura perfettamente disegnata in cui si rivede un po’ il belpaese all’inizio del Novecento, gli amabili difetti di tutti noi italiani.
Santo Marchese Cantamessa è un esordio davvero ben concepito, ideale come lettura estiva, a cui ci auguriamo si possa assumere un prosieguo.
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