Padri di Giorgia Tribuiani mette al centro il tema dei rapporti familiari, affrontato con l’aiuto di tre generazioni che si incontrano e scontrano. Non solo, lo spunto del padre perso in giovane età e nonno e suocero mai conosciuto dà modo a Tribuiani di inoltrarsi in sfaccettature più nascoste, pieghe difficili da raggiungere.
Padri di Giorgia Tribuiani
Vide un sorriso triste sbocciare sul volto della figlia, una fioritura andata a male, e mentre lei lo lasciava solo, a piedi nudi sulle piastrelle calde del bagno, aprì ancora le labbra e prese fiato, ma la lingua non si mosse.
Di Giorgia Tribuiani abbiamo già recensito Guasti (leggi qui), esordio molto interessante, così come niente affatto banale si rivela la pubblicazione di quest’anno, Padri. Un racconto di una coralità strana, dove nella terza persona viene innestata la prima appartenente ai pensieri dei protagonisti, così come i dialoghi non prevedono uno stacco dal discorso che, infine, risulta unico e inscindibile. Una scelta letteraria allo stesso tempo difficile da portare avanti e stimolante, in grado di giocare ad un incastro che si rivela fecondo dal momento che riesce a dare un ritmo ben preciso e a trovare un’espressività solida nella sua tortuosità.
Forse l’unica piccola pecca è che in certi momenti il meccanismo della scrittura si incastra proprio laddove è alla ricerca dell’immediatezza espressiva, quando per altro, nella maggior parte dei casi, risulta essere un punto di forza. Il congegno costruito da Tribuiani è d’altronde complicato da gestire e, rispetto a qualche singhiozzo, viene solo da apprezzare la lucidità con cui è sostanzialmente gestito. D’altronde della perfezione ce ne facciamo poco, preferisco il coraggio di cercare una voce personale, in grado di costruire un percorso autoriale non tracciato.
L’altro grande rischio corso dall’autrice riguarda la trama: Diego si scopre risorto quarantenne, l’età in cui morì, e si ritrova a gestire il nuovo ingresso nella vita con il figlio Oscar, otto anni alla morte del padre ma cinquantaquattro alla sua ricomparsa, la nuora Clara e la nipote universitaria Gaia. Il rischio era quello di cadere nella banalità, il merito quello di aver percorso il baratro con mirabile equilibrio. Tanto più che la trovata, che possiede comunque una forza trainante non indifferente, risulta più uno spunto per qualcos’altro, per un’indagine realissima che relega il paranormale ad occasione, motore narrativo per affondare le mani nei rapporti familiari.
Dialoghi sospesi
Allora Clara riprese a singhiozzare dietro le maniche rigate del golfino, e poi le mani in faccia, sipario, e Gaia attese il secondo tempo mentre nei muscoli nei tendini e nelle ossa, più osceno e inaccettabile di ogni altro sguardo o parola, indecente e scandaloso, tremava l’abbraccio che non aveva mai imparato a dare.
Il grande tema al centro del libro è quello dei rapporti familiari, affrontato con l’aiuto di tre generazioni che si incontrano e scontrano. Non solo, lo spunto del padre perso in giovane età e nonno e suocero mai conosciuto dà modo a Tribuiani di inoltrarsi in sfaccettature più nascoste, pieghe difficili da raggiungere.
La terza persona innervata dei pensieri diretti permette poi di restituire, con compattezza, la contrapposizione tra la continuità temporale che i rapporti devono seguire e gli scarti sempre troppo intimi di chi li vive. Vengono così sovrapposti, come accade nella vita, i mondi che si incrociano, perché le persone sono mondi paralleli che tentano di coabitare nella stessa galassia, soprattutto se parliamo di famiglia.
I temi toccati sono diversi, provo ad esplicitarne qualcuno, con l’avvertenza che la capacità dell’autrice di inserirli in modo organico alla narrazione è notevole.
Vige nella famiglia Valli, a quanto pare a partire dai nonni, un regime di incomunicabilità che troviamo già in stato avanzato. I membri non sanno ascoltarsi a vicenda, sovrapponendo sempre le proprie letture, ormai cristallizzate, alle intenzioni dell’altro, trasformando ogni parola e ogni gesto in una rappresentazione scontata di quanto ci si aspetta. Forse proprio in questa chiave può essere letta la mancata accettazione di Clara del ritorno di Diego: un muro eretto preventivamente alle speranze di marito e figlia.
L’effetto pratico è quello di un progressivo allontanamento reciproco, a passo di emozioni e ragioni sottaciute per rassegnazione, via via che la fiducia si annebbia per lasciare posto a rivendicazioni morte sul nascere nel dialogo ma accanite scavatrici nell’intimo trattenuto. E come le parole vengono smarrite, così l’attenzione cala per stanchezza, non sono più in grado di guardare l’altro, di coglierne i particolari, avendolo ormai ridotto al personaggio di una tragicommedia personale.
Assegnazione dei ruoli
Diego guardava tra i buchi della serranda.
Mio padre non era così. Mio padre era forte.
E mio figlio era solo un bambino.
Oscar scuoteva la testa. No, no, smettila di farlo. Non è giusto, papà; non puoi giustificarti ogni volta con –
Non sto dicendo questo. Sto dicendo che i bambini non faticano a sopravvalutare i propri padri. Ma hai avuto quarant’anni anche tu. Una figlia da proteggere, a cui nascondere le tue debolezze.
La mancanza di comunicazione porta i protagonisti a leggere ed attendere gesti e parole degli altri in base alle proprie necessità, lo sviluppo ultimo dell’incomprensione che conduce al cortocircuito per cui le proprie aspettative fanno da schermo impenetrabile, accostandosi reciprocamente dal proprio punto di vista e quindi non riuscendo più a risalire ai propri errori.
Fino all’assegnazione immutabile di ruoli, specchio che ingessa le personalità, arrivando a mascherare l’essere umano che si nasconde dietro alle pretese, ormai irraggiungibile dietro la coltre troppo fitta di aspettative. Questa rigidità porta anche all’incapacità di esplorare i lati oscuri dei famigliari, e i propri, quelle debolezze che scoperchierebbero, se riconosciute, una commedia molto più abbordabile nel suo accorciare le distanze, smussare le pretese, incrociare strade che ormai si sono tracciate in parallelo.
Tanto è vero che tutti cercano rifugio in un altrove, in particolare nel passato. Diego nel passato che non ha più ritrovato al risveglio, Oscar nel passato delle videocassette che restituiscono momenti felici in famiglia, Gaia in un passato ipotetico che si è concretizzato con il ritorno di Diego. Tutti incapaci di identificare gli atteggiamenti che hanno portato alla rottura, perché il passato sembra migliore solo in virtù di un seme non ancora germogliato, un rancore non ancora calcificato.
Non c’è un lieto fine, la seconda occasione di Diego si rivela sostanzialmente infruttuosa. Se non fosse per il barlume che intravvede Gaia, quello che la proietta verso un futuro di possibile accettazione dei genitori, un accomodamento affettuoso delle criticità. Perché alla fine ci si vuole bene a spanne, in modo imperfetto, come si riesce, alla ricerca dei nonostante, di letture trasversali.
Giorgia Tribuiani- Padri – Fazi Editore