La separazione di Dan Franck è analisi puntuale e sofferta della separazione di un coppia borghese, in cui saltano fuori sia i vezzi della classe sociale che le inadempienze sentimentali di una generazione alle prese con quella costruzione complicata e agognata che è la famiglia. L’autore propone una vivisezione che sa centrare i punti e riesce ad essere esplicita con un’espressività composta ma efficace.
La separazione di Dan Franck
Lei vuota il bicchiere. Tornano verso la camera. Le dice: «Avrei preferito che non me ne parlassi, visto che non hai scelto. Non mi hai messo di fronte al fatto compiuto, ma soltanto a una possibilità.»
La tragedia è lì: in quel margine obbligato, dove tutto diventa segno. E lui non può nemmeno interpretare questi segni, perché lei stessa non è in grado di farlo.
Prima romanzo letto della neonata Cantoni Editore; personalmente ho dato fiducia acquistando il pacchetto con le prime cinque uscite stagionali e i volumi si presentano curati e di effetto. Per quanto riguarda il romanzo in questione, siamo di fronte ad un’analisi puntuale e sofferta della separazione di un coppia borghese, in cui saltano fuori sia i vezzi della classe sociale che le inadempienze sentimentali di una generazione alle prese con quella costruzione complicata e agognata che è la famiglia. Non un tema originale, ma l’autore propone una vivisezione che sa centrare i punti e riesce ad essere esplicita con un’espressività composta ma efficace.
Il punto di vista è quello del marito la cui moglie si innamora di un altro e mette in crisi la loro famiglia che è composta da due figli di cinque anni e sette mesi. Franck procede per immagini, episodi, ricordi, tutti declinati in brevità a comporre il puzzle di un disfacimento sotto mano, di una realtà che si sgretola tra le mani del protagonista passo dopo passo: ogni pezzetto una picconata, ogni ripensamento l’impossibilità di riparare, ogni ricordo un allontanamento, quasi che il tempo passato misuri la distanza che si allargherà nel futuro.
Questo andamento che non indugia mai troppo sulle varie fasi, pur sviscerando con attenzione, rende l’idea dell’erosione quotidiana, dell’ineluttabilità sfiancante per chi credeva di avere tutto sottomano e perde la presa lentamente, come quando si tiene una mano sudata che scivola piano piano ma inesorabilmente e si stringe con più forza, ma qualsiasi azione rischia di accelerare il distacco.
La scrittura accompagna la vicenda con la discrezione della cronaca malinconica che non può essere imparziale, è chiaro il punto di vista, ma che cerca di tenere insieme i dati nella misura in cui rischia di esplodere. La terza persona segna un falso distacco, uno sguardo esterno che non inganna nessuno ma che rende efficace la ragione della sua scelta, riuscendo a suggerire quell’imparzialità che forse avrebbe aiutato il protagonista ma che era impossibile da vivere, e magari non avrebbe nemmeno aiutato sulla china ormai presa e non raddrizzabile.
La famiglia borghese
Si sono gettati l’uno nelle braccia dell’altra, non solo perché si amavano, ma anche perché amavano quello che avrebbero potuto costruire insieme. Una famiglia. Ora l’hanno e sembra loro pesantissima.
La coppia costituita dal protagonista e dalla moglie di certo non funzionava troppo già prima della crisi aperta dalla donna, l’altro uomo è solo l’innesco di una detonazione già cominciata in sordina. Entrambi i coniugi sono approdati ad una dinamica borghese provenendo da trascorsi giovanili a sinistra, un percorso classico nella cerchia dei loro amici e conoscenti. Si sono accasati in una partitura che ha seguito un percorso segnato e che li ha portati ad essere i personaggi di uno schema prestabilito in cui si sono adagiati senza nemmeno accorgersene, quasi per istinto.
Così come il protagonista si è adagiato sulla routine che credeva ormai eterna, senza mai porsi domande e senza mai accorgersi dell’ammaccarsi dei piccoli meccanismi che porta alla rottura. Ci sono momenti in cui la moglie gli rinfaccia alcuni atteggiamenti e lui risponde che invece lo sta ingabbiando negli schemi in cui lo ha ormai inserito. Nel momento in cui le cose sembrano migliorare, quando ancora crede di avere speranze di ricucire lo strappo, quegli stessi atteggiamenti che pretendeva di non avere diventano il ritorno ad un’abitudine confortante, lo riportano alla routine che lo consola e che ha intaccato il rapporto.
Inoltre è proprio quel sogno borghese che hanno costruito a impantanare il protagonista. Di certo esistono i sentimenti in questa storia, un amore che svanisce e lascia i propri detriti, ma più di tutto è l’attaccamento al costrutto che rende il protagonista incapace di reazioni credibili. Perché, al di là degli scontri verbali accesi e di qualche scontro fisico, il protagonista non sa prendere in mano la situazione, ma aspetta costantemente che ritorni la realtà predeterminata, lo status quo costruito con tutti i criteri indicati. La presenza dell’altro uomo è davvero un fattore secondario, quello che più conta per il protagonista è che si torni nei ranghi, che non svanisca quel sogno borghese che ha abbracciato a piene mani, quella costruzione che si era ormai calcificata.
Le fasi della crisi sono diverse e ricche di contraddizioni, come è necessariamente in questi casi. L’andamento che Franck dà allo scritto rende molto bene questo alternarsi di idee e sentimenti, di cadute e false risalite. Soprattutto, la scrittura incarna con naturalezza la chiusura del punto di vista, l’incapacità del protagonista di capire che questa separazione riguarda due persone (dei figli si preoccupa invece), che non esiste solo uno specchio in cui riflettersi e che essere coppia deve necessariamente prevedere un’apertura allo sguardo altrui, perché i ruoli previsti dalla società non arrivano dove poi farà davvero male quando non ci si riconosce più. Perdere una persona non è come perdere un oggetto o uno status acquisito, anche se così poteva sembrare.
Dan Franck – La separazione – Cantoni Editore
Traduzione: Alda La Rosa