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Aurora, Kim Stanley Robinson

Se è vero quello che sintetizza con un titolo geniale Sergio Luzzatto, cioè che i popoli felici non hanno storia, ecco spiegato perché al mondo le “storie” del mondo sono molteplici e differenti tra loro. Nessun popolo conosciuto è stato felice…

… È semplice notare come in ogni angolo della terra la creazione del mondo e la fondazione della società degli uomini siano state scritte con accenti diversi dai diversi popoli, mantenendo però tutte alcune caratteristiche comuni. Leggere la Bibbia o i sacri Veda porta alla considerazione che ogni popolo ha bisogno di una nascita, di una storia, per sentirsi popolo.

La riflessione sulle storie di fondazione è la prima cosa che viene in mente leggendo Aurora di Kim Stanley Robinson, libro che sarebbe un errore annoverare troppo velocemente nel grande mare della fantascienza, qualunque sia la vostra considerazione del genere letterario. Partendo dal presupposto che chi scrive considera la fantascienza, a volte meglio dire pseudo-scienza, un genere letterario con un potere immaginifico-probabilistico di grandissimo valore, nel caso di Aurora val la pena di districarsi al di là dei generi per poter accogliere in pieno la narrazione di questo libro imponente dal punto di vista documentale, ma avvolgente non appena ci si lascia trasportare dal racconto.

La trama di Aurora

Tutto inizia in un futuro prossimo in cui un cospicuo numero di abitanti della terra si trova all’interno della “nave”, ovvero una nave spaziale dalle misure imponenti, che si sta dirigendo verso una nuova terra da colonizzare: Aurora, facente parte del sistema solare di Tau Ceti. La meta, individuata in base a molti studi scientifici, è il luogo in cui l’umanità potrebbe ricreare la vita fuori da Gaia. Il viaggio, raccontato circa da tre-quarti della sua totalità, parte dalle vicende di una famiglia di abitanti della nave, in cui spiccano due donne: Devi e Freya. Devi è un ingegnere che dà ai problemi soluzioni inaspettate e a volte scomode, che però risolvono questioni di fondamentale importanza per la vita e la crescita della popolazione della nave. Freya, figlia di Devi, invece, è una ragazza indolente, lenta, che si autodefinisce poco intelligente, che ama viaggiare, conoscere e fare l’amore con un ritmo e una spazialità che anche Raffaella Carrà avrebbe trovato eccessiva, nonostante il suo ben noto ritornello. Le due donne rappresentano due entità distinte della vita sulla nave: da un lato la fredda lucidità di conoscere cosa è bene mentre tutti brancolano nel buio, dall’altro la possibilità di voler andare più piano, di voler conoscere le “verità” sul mondo senza porsi con un atteggiamento di superiorità intellettuale. Ma proprio quando la meta sarà vicinissima, le storie delle due donne avranno delle ricadute importanti sulla vita della nave, con ripercussioni decisive sugli abitanti.

La nave come mondo

Il racconto di Robinson usa lo spazio della nave per descrivere un micro mondo che però in nuce contiene tutte le macro dinamiche della storia dell’umanità. La divisione in continenti che riprendono la composizione del pianeta abbandonato, con tanto di differenze geologiche riprodotte, aiuta ad immergersi nel racconto e allo stesso tempo mantiene una struttura di filogenesi in cui si possono rileggere molti passaggi della storia mondiale. La nascita della democrazia, la sua decadenza, il bisogno di controllo sulla popolazione e il bisogno di allontanarsi dal controllo sono temi che vengono fatti rivivere da Robinson con grande maestria tra le vicende quotidiane degli abitanti della nave. Il termine saga, spesso abusato, nel caso di Robinson non è sprecato: siamo di fronte soprattutto a un racconto di fondazione che parte dalla vita di alcuni spaesati viaggiatori in un luogo sconosciuto. Se conosciamo lo smarrimento dei primi esploratori terrestri, possiamo immaginarci il senso di perdizione dei pionieri dello spazio di fronte a un mondo in cui anche la fisica risponde a regole differenti. Robinson si interroga attraverso i suoi personaggi anche sul rapporto tra racconto e verità, tra linguaggio, realtà e interpretazione, in un dibattito che coinvolge anche l’intelligenza artificiale, strumento di cui è dotata la nave. Anzi, Robinson sottintende un po’ chomskianamente, che se il racconto di fondazione fosse fatto da una macchina, tralascerebbe molte verità, incapace com’è il linguaggio di ferire la realtà. Quindi, il problema del gruppo di argonauti spaziali non è solo quello di raccontare la propria storia, ma di farlo anche con un linguaggio che rappresenti la realtà: un problema filosofico profondo e affascinante, in particolare in un altro sistema solare.

Sarebbe un libro diverso da raccontare, però, se a fianco alle riflessioni, alle ipotesi, agli scenari apocalittici, non ci fossero le vite dei personaggi disegnati da Robinson a permettere al lettore di empatizzare con gli abitanti della nave. Con le loro piccole e grandi storie, gli abitanti della nave rivelano un aspetto generale dei rapporti umani che prescinde dal tempo e dal luogo in cui le vicende accadono. L’ambientazione del racconto permette di immergersi completamente nel romanzo, creando momenti di pura immaginazione in cui si possono “vedere” lune vicinissime, vuoti siderali e scenari lontani da ciò a cui siamo abituati sulla terra. Aurora è un romanzo stratificato e godibile a diversi livelli: si può leggere per immaginare, per riflettere, per sognare. La libertà di cui si discute nel libro diventa per Robinson una chiave di lettura per la sua opera stessa.

Autore: Kim Stanley Robinson
Traduttore: Ilaria Mazzaferro
Editore: Ubiliber
Anno edizione: 2024
In commercio dal: 10 maggio 2024
Pagine: 576 p., Brossura
EAN: 9791280340733

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