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Acque strette – Julien Gracq

Acque-strette-- Julien-Gracq

Acque strette di Julien Gracq è un’escursione in barca sull’Èvre diventata percorso interiore che, agganciandosi al paesaggio, si libera in associazioni personali che sfociano in citazioni, sogni, allucinazioni delicate, ricordi, pensieri, intuizioni, suggestioni, insomma tutto quello che fa di un’anima un elemento danzante sulla musica del mondo.

Acque strette di Julien Gracq

[…] al contatto con questa terra che ci è stata in qualche maniera promessa, ogni nostra piega si distende come si dischiude nell’acqua un fiore giapponese: inspiegabilmente ci sentiamo in un territorio di conoscenza, come circondati da volti di una famiglia di là da venire.

Di questo autore abbiamo già esplorato quel capolavoro che è La riva delle sirti (leggi la recensione). Questo Acque strette è tutt’altro, non siamo più dalle parti di un mondo immaginato per un’immersione di più di trecento pagine, non più quindi un’opera dalle ambizioni enormi, per altro non tradite; in questo caso parliamo di una gita da un’oretta di lettura, una sospensione nella giornata, un’evasione deliziosa capace di rapirci con delicatezza, uno schizzo dell’anima dell’autore.

Un’escursione in barca sull’Èvre, piccolo fiume che si getta nella Loira, diventa l’occasione per un percorso interiore che, agganciandosi al paesaggio, si libera in associazioni personali che sfociano in citazioni, sogni, allucinazioni delicate, ricordi, pensieri, intuizioni, suggestioni, insomma tutto quello che fa di un’anima un elemento danzante sulla musica del mondo. Un unico flusso di rapimento che è sia quello narrato dall’autore sia quello di cui diviene preda il lettore.

Al di là delle tantissime citazioni artistiche, essendo il suo mondo ha diritto di sciorinarlo, Gracq si conferma uno scrittore molto ispirato, con una prosa che tende al poetico, che ritaglia momenti incantati, una scrittura dalla presa forte che pressa senza sosta. In questo breve scritto ha ancora più modo di sbizzarrirsi, sia per la natura del libro sia per la brevità, e non si lascia pregare.

Uno di quegli scrittori che richiede attenzione costante, nessuna distrazione è concessa, nessuna pausa o diversivo: ma ne vale la pena. Forse questo libro è ideale per approcciare l’autore, per prendere confidenza con la sua prosa prima di tuffarsi nel mirabolante viaggio de La riva delle Sirti. Ma forse no, meglio lasciarsi ispirare.

Una quieta natura

Julien Gracq ama descrivere la natura e lo fa con descrizioni minuziose, notevoli nel saperci trasportare all’interno dell’ambiente descritto. Però spesso questi paesaggi sono dell’anima, cioè dialogano con l’anima che li osserva, hanno una mediazione metafisica che li rende ancor più carnali e intensi. In questo libro il gioco è tra natura e se stesso, con rimandi diretti alla propria griglia di richiami.

Grande protagonista delle pagine è la luce, con la sua capacità di far girare i sentimenti, di colpire l’immaginario, ammantare tutto di una suggestione per poi ribaltarla in un attimo.

Se esiste una costante nel mio modo di reagire agli accidenti dell’ombra e della luce che si distribuiscono capricciosamente nello scorrere di una giornata, è proprio la sensazione di gioia e calore, e, forse soprattutto, di confusa promessa di un’altra gioia ancora a venire, che per me non si separa mai da ciò che, non trovando espressione migliore, chiamo la schiarita tardiva.

Si tratta di una natura amica, anche se accenna qualche vaga minaccia, così come amico della riflessione è lo scorrere di questo fiume. Un fiume placido, lento e senza eccessi, chiuso ai due estremi, come una sospensione del tempo, una parentesi di distacco mentale che trova riscontro nella conformazione del paesaggio in cui si incastonano le riflessioni, anzi che le incita con mano discreta. Non è un turbinio di ricordi e sensazioni, è un galleggiamento a fior d’acqua. Un percorso naturalmente anche metaforico, di una metaforicità vivace.

Tempo futuro

Non è tanto l’orma di un passato favoloso a far pesare sul vallone morto un’imprecisata minaccia, bensì un sentimento di distrazione totale rispetto al consueto fluire della vita. Qui, da tempo, non è cambiato nulla; i secoli sono evaporati senza lasciare tracce o conseguenze, come l’ombra delle nubi: ben più che l’aura di un’antica leggenda, ciò che avvolge questa valle abbandonata, questa desolazione di sterpi, è l’immediata sensazione che a esercitarvi un incontrastato dominio sia il sortilegio fondamentale, ossia la reversibilità del Tempo.

Altro elemento ricorrente è il tempo, fattore dirimente delle nostre vite ma anche, anzi perché, scava nelle menti, declina le premesse e sostiene le promesse. Il vagare sul fiume di Gracq è chiaramente costellato da rimandi alla memoria, sia letterari che autobiografici, anzi tutto questo viaggio letterario è già memoria. Dunque il meccanismo è conosciuto, in Francia poi, la memoria involontaria viene innescata da qualche elemento presente, in questo caso è tutto un serpeggiare di memorie involontarie.

Però Gracq riconosce nello scorrere placido di quelle memorie la propensione al futuro, non è un adagiarsi su ricordi impreziositi da opere frequentate o autobiografici coinvolgimenti, è un’apertura verso ciò che lo aspetta. Il passato interiorizzato scoperchia le possibilità, la familiarità capace di alludere a personalissimi rimandi non induce ad indugiare, è una familiarità che deve ancora trovare piena espressione, un suggerimento poetico. La memoria scaglia fulmini che donano elettricità al presente e al futuro, non è un deposito dimenticato al margine della vita, ma una risorsa concreta per rivitalizzare ciò che andremo a essere.

Ma tutto ciò che ha il colore del sogno è, per natura, profetico e rivolto al futuro, e le malie che un tempo mi guidavano nel percorso adesso non avrebbero più né virtù né vigore.

Un piccolo gioiello questo breve scritto, un peccato non approcciarlo.

Julien Gracq- Acque stretteL’orma
Traduzione: Lorenzo Flabbi

Voto - 84%

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