Un esordio che punta in alto, che si veste in modo raffinato ma fomenta il mistero. Enrico Terrinoni ci recapita un libro dall’argomento molto letterario e sicuramente impregnato di riferimenti che i più colti sapranno cogliere. Non per questo però si tratta di un testo respingente, perché l’autore riesce a trattenere l’attenzione attraverso l’evolversi della ricerca dei protagonisti, giocando quindi anche in modo smaliziato pur su un terreno adatto ai topi da biblioteca.
A Beautiful Nothing di Enrico Terrinoni
Era questa la sorte toccata anche dal vecchio? E ora a lui? Cadere e non rialzarsi, in un non luogo in cui non si può più uccidere o venire uccisi? Perché si è già morti? Perché ci ha preceduto il silenzio?
Una dimensione del corpo che sfida la mente. All’infinito. Una strada in salita e in discesa al contempo. Diretta verso il vuoto.
Un esordio che punta in alto, che si veste in modo raffinato ma fomenta il mistero. Enrico Terrinoni ci recapita un libro dall’argomento molto letterario e sicuramente impregnato di riferimenti che i più colti sapranno cogliere (personalmente non ho la pasta giusta; ma quella bottiglia che è bastata per un pomeriggio intero, a raccontarlo oggi non sembra neanche vero). Non per questo però si tratta di un testo respingente, perché l’autore riesce a trattenere l’attenzione attraverso l’evolversi della ricerca dei protagonisti, giocando quindi anche in modo smaliziato pur su un terreno adatto ai topi da biblioteca.
Non convince tutto in questo libro, sia per una prosa che a tratti, cercando il lampo di luce, si ingarbuglia in una ricercatezza afona e impostata, sia per alcune caratteristiche dei personaggi forse troppo stereotipate. Eppure il libro si rivela una lettura stimolante, ricca di passione e di spunti, di interrogativi e riflessioni. Al netto di un racconto che ha la tendenza a incartarsi, rimangono la capacità di appassionare e l’altezza dei temi, come la generosità di farsi indossare dal lettore; se nei particolari ha qualche inciampo, nell’insieme riesce ad essere una lettura intensa e profonda. Un libro che vale la pena affrontare, in grado di parlarci e di suggestionare.
Un professore universitario è ossessionato da alcuni misteri che intrecciano le opere e la vita di James Joyce, ma è troppo anziano per proseguire le ricerche, così si affida ad un trio di studenti che lo aiutano a districarsi. Il maggiore protagonista è il giovane prof che prende il posto accademico del vecchio professore, ci sono poi una ragazza che diventa la compagna del giovane prof e il magiaro che si afferma come scrittore. La trama si dimena tra il passato, cioè la giovinezza dei tre e il presente, cioè quando, ormai morto il vecchio professore da tempo, il giovane prof riprende le ricerche, ricevendo aiuto inaspettato dagli altri due.
La vita tra la letteratura, oltre la letteratura
[…] Una storia che proviene da lontano. Un essere tra le alte mura. Il lucore della vista nella linea d’ombra si avvicina al confine con la luce, che le ombre stesse producono e che non sanno comprendere.
I vivi sono al di là.
Di certo si tratta di un romanzo colto, la cui trama è giocata tra le ricerche dei protagonisti e la vita di Joyce, in un turbinio tutto intellettuale alla scoperta di segni e codici significanti, di tracce lasciate nei testi che possano fare luce sulla storia. Infatti il giallo è pressoché tutto intellettuale, anche se ha possibili riscontri nella vita, per quanto malcerti. Il lettore viene irretito in una serie di ipotesi che si inseguono, si ripetono e si ingabbiano. Un giallo tutto letterario che però consuma vite reali, quelle dei due professori.
Lo spunto delle tracce di vita nella letteratura, ma anche del carico della letteratura sulla vita, mi dà modo di proporre alcune considerazioni sul romanzo (non certo le uniche suscitate) che di certo rappresentano una lettura personale, ma credo che la forza del libro sia proprio quella di esplodere nelle considerazioni personali, pur se sbilenche come le mie.
I due professori vivono l’ossessione per la ricerca delle tracce nascoste in Joyce, fino a proiettare la vita vissuta dall’autore nelle sue opere forse ben al di là delle intenzioni di Joyce stesso. O forse no, ma il fatto è che ad un certo punto non sembra più avere importanza cosa sia effettivo e cosa rimuginato, perché diventa tutto un insieme inestricabile. Effetto certo della letteratura che si impossessa delle menti, come spesso dice il vecchio professore: è nella propria testa. Effetto delle ombre che velano le tracce, dell’impossibilità della certezza che non permette un approdo sicuro, ma lascia i naviganti al perenne naufragio.
La ragazza e il magiaro seguono la ricerca fino ad un certo punto, poi si aggrappano alla vita, non lasciandosi mangiare dall’ossessione, giocando al gioco finché ha senso per loro farlo durare. Invece i due professori proiettano gli scritti di Joyce non solo nel contesto della vita dell’autore, ma anche nelle loro, inoltrandosi in una nebbia che confonde, in un luogo dove realtà e immaginazione hanno confini incerti. Quando si approda in queste lande, allora bisogna accettare che la direzione intrapresa sia sempre precaria, che lo sguardo possa essere fuorviato, che i contorni della vita reale e di quella immaginata si mischino e che si perdano i punti di riferimento per inseguire un sogno opaco.
Vale per ogni ossessione: bisogna fare i conti con ciò che mangia, con i morsi che dà e che rendono ciechi di fronte ad altre evidenze. La ricerca che impegna i due professori è affascinante, intellettualmente raffinata e audace nelle sue ipotesi, ma soffre forse di due limiti insormontabili: l’incapacità di modificare una prospettiva intravista come promettente e la volontà di una chiarezza non auspicabile. La letteratura, come la vita, si muove tra i giochi che formano le luci e le ombre, ma a volte è più semplice del previsto, si svolge mentre stai cercando altro, non differenzia la luce dall’ombra perché sono tutt’uno. Capita che lo sbocco, di una ricerca come delle proprie sofferenze, sia sotto gli occhi ma si faccia fatica a scorgerlo perché meno intrigante, ma allora l’intrigo è nella nostra testa e solo noi possiamo farci i conti, perché a quel punto i sogni si confondono e danno vita ad una creatura che non abita né la notte né il giorno.
Ribadisco, ci sono molti temi all’interno del libro e alcuni ben delineati, io forse sono partito per la tangente, ma anche questo è merito o colpa del testo, è per questo che ne è valsa la pena.
Enrico Terrinoni – A Beautiful Nothing – Atlantide