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Spinoza + Sgargabonzi – Oddio, che schifo! Un cinico… schiaccialo!

Comincio io Direttore. Sto già ridendo. Ricordo le battute di ieri sera e rido. Sono perfino tornata a cercarmi il monologo sul Giubileo e ho pianto, non respiravo più dal ridere e il cane stava per chiamare il 118.

L’ha fermato l’altro cane e giurerei di averle sentito dire: “Fermo. Stavolta è la volta buona”.

Ingrati.

Ieri  Me Medesima e L’Illustrissimo Signor Direttore abbiamo presenziato alla serata satirica organizzata dai blog Spinoza e Lo Sgargabonzi. presso il circolo Ohibò di Milano.

Arrivati, tesserati al circolo, riforniti di abbondante media chiara e posizionati sopra due comodissimi tavolini angolo sala, abbiamo atteso che il sipario si aprisse.

Ecco che le battute sono iniziate per bocca di Stefano Andreoli, uno dei curatori di Spinoza, intervallate da  monologhi di vita stra-vissuta di Alessandro Gori, ovvero l’uomo Sgargabonzi.

Si è ironizzato di politica, Chiesa, vita, morte e miracoli.

Si è toccato temi scottanti come “8 giorni da attore porno” e la povertà di alcuni Cardinali costretti a vivere in miseri attici che se affido al mio cane l’organizzazione del Capodanno ci troviamo tutti lì, perché lui non fa le feste, le organizza.

Malattia e morte andavano a braccetto anche con “La pagina perduta del Diario di Anna Frank”, dove la fine funesta veniva dichiarata nel modo più televisivo possibile, e cioè attraverso le nomination.

Stavo li con le lacrime agli occhi. Felice di sentire dal vivo quella che si può definire senza indugio SATIRA.

Ma se Spinoza è capace di raccontare la realtà tramite poche parole affilate come spade, i racconti di Gori sono quelli che più hanno solleticato la mia fantasia. Appollaiata sul tavolino tondo da bisca clandestina realizzavo che la realtà a volte supera di gran lunga la fantasia.

Basta solo analizzarla con spirito cinico di cui, modestamente, ho notevoli quote.

Ascoltando un suo racconto sulle diagnosi cliniche ho ripensato a quanto era successo a me poco tempo fa.

E ho riso. Di nuovo. Di gusto. Grazie a quella lente distorta capace di farti vedere la vita in maniera diversa.

Ve la faccio breve e tralascio i particolari drammatici del perché o per come fossi finita su di un lettino ginecologico aperta come un tacchino Amadori pronta per essere farcita.

Sta di fatto che lo spettacolo interessava molto quattro serissime luminari della patata, intendo quella anatomica.

E ragazzi, posso garantirvi che su quel lettino mi sono sentita più a mio agio di una qualsivoglia Cicciolina. A questo punto, Cicciolina sarebbe risultata una dilettante.

Perché?

Perché con una microtelecamera che si faceva spazio proprio là, sento un gridolino isterico della regista che chiama le altre tre colleghe ed esclama indicando il monitor: “Ma tu, hai delle ovaie bellissime”.

A quel punto, proprio come nei racconti di Gori, mi sarei aspettata l’applauso, che partisse una canzone celebrativa e che lo studio si illuminasse come  Las Vegas.

Nulla.

Forse avrei dovuto sperare di essere in un film di David Lynch.Tanto mancavano solo un nano, il gigante con le visioni e magari anche scoprire chi ha ucciso Laura Palmer.

Però ho avuto la conferma che cercavo.

Posso dire di essere passabile fuori, ma molto bella dentro.

In caso di corteggiamento, è una gran cosa.

#sapevatelo

Nota del Direttore: Felice innanzitutto di sapere di avere una collaboratrice dotata di ovaie doc, di questi tempi è un valore aggiunto per nulla scontato. Al mio plauso si aggiungerà di sicuro quello di agafan, raggiunto da un whatsapp contenente l’informazione circa le suddette ovaie, esattamente quattro secondi dopo aver letto questo pezzo. Detto ciò, vorrei soffermarmi anch’io sulla bellissima serata organizzata da Spinoza e Sgargabonzi che l’altra sera hanno ribadito un concetto fondamentale, e cioè che la satira, nel nostro scalcinato paese esiste e si può ancora fare. Seduto e protetto dall’oscurità, con in corpo una bella compilation di medie e con le chiappe anchilosate dalla durezza del tavolino dove erano poggiate (mia cara Clara, lei avrà anche delle ovaie strepitose ma ha altresì una concezione del comodo quanto meno discutibile), ho potuto sentire sulla bocca il sapore acido e fastidioso della satira, quella vera. Perché la satira non è facile da digerire, è qualcosa che prima ti imbarazza e ti fa sentire ipocritamente in colpa. Ma poi ti obbliga a pensare sul serio e a metterti in gioco, e se lo fai, se davvero riesci ad assimilane il messaggio, ti libera la mente forse meglio e più di ogni altra cosa, perché è in grado di porti in sintonia con il periodo storico in cui stiamo vivendo.

I racconti bastardi di Gori che sfancula alla stessa maniera feti, handicappati, preti ed ebrei, oppure la penna tagliente di Spinoza che usa la sintesi di una frase come fosse una clava sulle nostre coscienze, sono qualcosa di cui avremmo bisogno a più riprese durante il giorno, prima e dopo i pasti.

Perché eliminato Luttazzi (e, forse, i Guzzanti), in Italia non abbiamo la benché minima idea di quello che è realmente la critica satirica. Basti guardare come, durante i giorni della strage al Charlie Hebdo la nostra informazione abbia in qualche modo definito “borderline” le vignette proposte dal giornale satirico. Il disegno dello Spirito Santo che si incula Gesù Cristo che a sua volta si incula Dio, giusto per citarne uno, è qualcosa con cui non siamo abituati ad avere a che fare, che non capiamo e a cui riusciamo a rispondere solo mettendo avanti il nostro sdegno (in realtà si trattava di un commento -ovviamente forte- all’apertura -ovviamente sacrosanta- ai matrimoni omosessuali). In Italia qualcosa che, per dirla brevemente e senza tirare in ballo fini teorie filosofiche e sociali, va oltre il politicamente corretto non è più satira ma è insulto gratuito. Ed è questo l’errore più grande, perché il cambiamento sociale (unico vero obiettivo della satira) non può non passare che da un fatto traumatico, una rottura, un pensiero incazzato.

Giusto per fare un esempio, la satira nazionale in Italia è portata avanti da Maurizio Crozza e Luciana Litizzetto. Crozza, nello specifico, il comico attualmente più amato dello stivale, è il personaggio che più viene chiamato in causa quando si tenta di affermare che il libero pensiero in Italia esiste e va addirittura in prima serata.

Il fatto è che Crozza fa ridere, da morire per quel che mi riguarda, ma non fa satira.

Crozza prende per il culo il potente di turno, lo riduce a macchietta. Ma così facendo ce lo rende anche simpatico, i suoi errori diventano marachelle, i suoi misfatti ragazzate, chi detiene il potere si trasforma in uno stupidotto inoffensivo e questo se ci pensate bene è un male. Perché la simpatia e l’apparire inoffensivi ci mettono poco a farci sospendere il giudizio e a trasformare quella che dovrebbe essere una sacrosanta indignazione in accettazione supina o, quantomeno, distratta.

Spinoza e Sgargabonzi sono un’altra cosa. Le risate che ti strappano sono risate per nulla inoffensive e l’accettazione supina con loro è decisamente bandita (anche perché sennò faremmo la fine di Dio, di Gesù e dello spirito santo).

Leggeteli qui e qua.

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