La malattia arrivava intorno ai trentanni di vita, le articolazioni soffrivano per il terribile carico di lavoro a cui lo scheletro era sottoposto. Nessuna prevenzione, nessuna cura. Le fratture venivano ricomposte senza intervento chirurgico, e gli arti venivano ingabbiati in una struttura di legno in attesa della guarigione.
Lo dice il più grande studio nel suo genere, realizzato su oltre 2.000 scheletri da una equipe composta da due ortopedici, tre antropologi, due radiologi e due storiche della medicina, in un volume che aiuta a completare un tassello della storia medica. Il libro ”Bones: OrthopaedicPathologies in Roman Imperial Ageè”, presentato dall’ortopedico da Andrea Piccioli, ortopedico oncologo, Direttore del Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia, Segretario della SIOT, membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha curato la ricerca assieme alla dottoressa Maria Silvia Spinelli (ortopedico), le due antropologhe Carla Caldarini e Federica Zavaroni, e Silvia Marinozzi (storica della medicina).