Le condizioni dei richiedenti asilo bloccati a Lipa, Bosnia, tornano ad avere una qualche eco anche in Italia per via della recente visita di quattro Parlamentari europei PD. L’indignazione è stata tanta, ma la realtà è che la situazione è in stallo da tempo, ce la dimenticheremo presto e gli ultimi, soprattutto in questo periodo di drammi comuni e di “ce la faremo” urlati dalle finestre, torneranno in fretta nella loro ombra
La questione della rotta balcanica, tratta che parte dalla Grecia e risale appunto la penisola balcanica fino ad arrivare nei pressi dell’Europa Occidentale, torna a riempire le pagine dei giornali italiani grazie all’indignazione di quattro parlamentari in visita a Lipa, una sorta di centro di raccolta (o lager, fate un po’ voi) dove i migranti che cercano una via per l’occidente sono stipati da mesi in condizioni a dir poco precarie.
In realtà, pur essendo stata chiusa nel 2016 dopo un controverso accordo con la Turchia per impedire le partenze verso la Grecia, la rotta balcanica non ha mai smesso di essere una questione aperta, perché anche se i numeri di persone che la percorrono con la speranza di arrivare in Europa si è drasticamente ridotto, quelli che ci provano lo stesso oggi rischiano di finire in una sorta di parentesi infernale.
Questi richiedenti asilo, attualmente, sono stritolati dalla morsa di una Grecia che ha deciso di limitare drasticamente l’accettazione delle richieste, e da un’Europa occidentale che, di fatto, ha limitato e parecchio le vie d’ingresso legali per gli stranieri. Il risultato è quello che abbiamo visto nelle foto del campo profughi di Lipa, centinaia di persone al freddo, sospese in un limbo chi per mesi, chi per anni, separati dalle proprie famiglie, di fatto prigionieri e totalmente in balia degli eventi, visto che non potrà mai esistere per loro né un percorso di integrazione né protezione. Perché la Bosnia non è in grado e non vuole gestire la situazione dato che ha bollato queste persone come facenti parte di un’invasione musulmana. E perché l’Europa, d’altro canto, se ne lava allo stesso tempo le mani, visto che l’attuale crisi umanitaria è figlia delle sempre più stringenti restrizioni negli ingressi volute dalla Comunità Europea stessa.
La situazione, dunque, è in stallo e ferma su questi passi rischia di restarci per chissà quanto tempo. E quasi sicuramente si immobilizzerà ancora di più quando l’eco della notizia andrà a scemare sugli organi di informazione. E di questi uomini torneremo a non sapere più nulla.
Ma da un lato è giusto così, perché il Coronavirus è un’emergenza più su vasta scala (comprensibile forse, ma non condivisibile, soprattutto se si tratta di diritti umani), perché le polemiche politiche sui vaccini sono senza dubbio più intriganti e pruriginose, perché il nuovo Governo Draghi, con le giravolte folli di Salvini e l’egocentrismo patologico di Renzi è un argomento senza dubbio più interessante.
Perché noi siamo fatti così, perché le nostre esigenze si fermano sull’uscio di casa, perché i nostri bisogni, del resto, sono pruriti che il più delle volte hanno la durata di un post su un social, perché pur dichiarando amore e unità d’intenti, soprattutto in questo periodo disgraziato, ci è sempre stato troppo difficile vederci per quello che in realtà siamo, ossia identità uguali e con gli stessi diritti da Milano fino a Bangkok (giusto per citare a livelli altissimi). Ma soprattutto perché per noi, l’unica giustizia che ha senso, è quella che ci riguarda personalmente.
Ed è per questo che calati i riflettori gli ultimi resteranno gli ultimi. Con buona pace di tutti.