Intervista – In occasione dell’uscita del nuovo singolo Pantelleria, abbiamo fatto una chiacchierata con Gianluca De Rubertis. A cinque anni di distanza da l’Universo Elegante, il cantautore torna con un album che uscirà il 16 ottobre e che promette atmosfere differenti, ma sempre elaborate con profondità e grazia
Gianluca De Rubertis è un poeta che ostinatamente cesella parole e musica con la sensibilità del miniaturista e la saggezza del filosofo. Dieci anni fa quando lo conobbi e quando decidemmo di lavorare insieme su un mio disco, rimasi molto colpito dall’immagine splendida che Gianluca aveva della musica e dell’arte. Per questo quando la redazione mi ha proposto di intervistarlo in occasione dell’uscita del suo ultimo singolo, Pantelleria, ho accettato con somma gioia
Ciao Gianluca, esce in questi giorni il singolo Pantelleria dopo l’album L’universo elegante, che cosa hai fatto in questi anni?
L’universo elegante ormai è abbastanza lontano, infatti, Pantelleria esce dopo quasi cinque anni. In mezzo c’è stato un tour è un EP con Roberto Dell’era e alcune produzioni.
Come è nato questo disco?
Questo è un disco frutto di un periodo travagliato, una ricerca di luce che non guasta mai. Le canzoni dell’album sono quasi tutte nate molto velocemente, è stato quasi terapeutico scriverlo. Nella realizzazione è stata lunga la gestazione, nonostante piacesse molto a tutti quelli che lo ascoltavano. Alla fine però è uscito esattamente l’album che immaginavo.
Da dove nasce la canzone Pantelleria? Seguendo il titolo verrebbe da pensare all’isola ma magari non è così.
Sicuramente c’è un legame con Pantelleria in cui sono stato per poco tempo tre anni fa, qualcosa legato agli aspetti più misterici del luogo, sicuramente sono entrati degli elementi nella scrittura. Pensavo di scrivere qualcosa da molto tempo, poi quando sono tornato in Sicilia la canzone è nata molto velocemente: una mattina c’è l’avevo tutta in testa al risveglio, anche se poi è stata conclusa a Milano. La canzone nel tempo si è presa un suo spazio originale, indipendente, tutto suo. Anche in questo Pantelleria si è subito distinta come un singolo.
È canzone mattutina rispetto alla tua produzione spesso così notturna.
È un disco che nasce dalla luce. Ascoltando il disco, mi daranno torto o ragione gli ascoltatori, si sente questa luce, questa emozione. Il fatto strano è che lo slancio di gioia che si percepisce in alcuni momenti dell’album è stato concepito in stati d’animo opposti, il disco è un po’ il contrappasso rispetto al mio vissuto. Probabilmente quando ero preso bene scrivevo cose più cupe, mentre in un periodo travagliato ho scritto cose più lucenti. (Ride)
Si sentono echi della tradizione cantautorale italiana. Ci sono dei riferimenti che ti sono particolarmente vicini?
Io sono un ascoltatore distratto. Non ascolto tanta musica, esclusa la musica classica. Quando poi mi accostano a qualcuno lo accetto sempre volentieri, penso sia una tradizione della critica italiana. Però i riferimenti a Battiato li accetto volentieri perché quando scrissi la canzone dormivo in una casa a 200 metri dalla sua abitazione: forse il maestro nei suoi voli notturni ha guidato i miei sogni, visto che la canzone è nata velocemente al mio risveglio (ride).
Tornando a Pantelleria si respira una spiritualità oserei dire terrena, contaminata con una cultura oserei direi contadina, mi riferisco per esempio all’immagine dei fagioli. È così? Qual è il tuo rapporto con la spiritualità?
Molto strano. Anche la nostra storia interiore è una dimensione spirituale, anche porsi delle domande è ricerca spirituale, non credo sia molto altro la ricerca della spiritualità. Certo ci si può porre domande sulle cose complesse anche da scienziato: ecco io non sono uno che si fa domande da scienziato, pur amando quasi esclusivamente questioni complesse. La verità è che ritengo la poesia enormemente superiore alla scienza, perché la poesia risponde a cose che la scienza non risolverà mai, perché la scienza è solo un rincorrere, un superare la risposta precedente. Non mi convince il determinismo, del resto lo diceva anche T. S. Eliot: nella poesia invece c’è sempre qualcosa di nuovo che affiora, nella scienza é tutto più lento.
Come vivi l’amore invece?
L’amore ha sempre spazio, è atavico, noi viviamo e da quando nasciamo seguiamo qualcosa o qualcuno. Del resto da Gesù in poi seguiamo qualcosa, “abbandona la tua famiglia e seguimi”. Da lì in poi inizia il nubifragio verso le persone che ci abbagliano e da cui è difficile prescindere. Per quanto mi riguarda sono un essere vivente erotico, ammaliato dell’amore ma anche esacerbato da esso, si possono raggiungere stati d’animo molto alti ma anche sofferenze fortissime, livelli di sofferenza infernali. Crescendo si diventa più cinici anche per salvaguardare il cuore da quella palestra di sofferenza che è l’amore.
Quali saranno i tuoi prossimi passi discografici?
Il 16 ottobre esce il disco, speriamo in un bell’approccio vista la buona accoglienza di Pantelleria. Da fine settembre ci saranno delle presentazioni piano e voce e poi speriamo di poter avere anche dei concerti in band, compatibilmente con la situazione attuale.
Ti piace la musica italiana attuale? C’è qualcosa che ti piace particolarmente?
Mi piacciono molte cose, ma ripeto sono molto distratto come ascoltatore. Setacciando molto direi che rimangono Paolo Conte, Capossela, Morgan, tra quelli che scrivono canzoni belle. Poi sull’attualità noto un mondo pieno di singoli, un mondo singolare direi. Però per giudicare bisognerebbe ascoltare lavori più completi, più complessi, album e non solo canzoni pensate per la radio. Tra le cose nuove di sicuro credo che Mahmood meriti il suo successo, tra i suoi colleghi è sicuramente quello che conosce meglio la storia della musica ed è anche quello più dotato tecnicamente. In generale facendo il produttore mi capita di ascoltare molte cose di valore che faticano ad avere la giusta visibilità, sento tanto talento in cose che hanno meno successo.