Site icon EsteticaMente

Report Firmamento Tour, Le Luci della Centrale elettrica al Magnolia 27/03/2015

Seconda data al Magnolia, dopo che la prima, giovedì, è andata soldout in pochissimo tempo. Vasco Brondi si congeda (temporaneamente) dal suo pubblico con uno spettacolo forte, urlato, intenso. Come sempre, del resto.

Vasco Brondi, ossia Le Luci della Centrale Elettrica, ieri sera ha scritto la parola fine a un tour lunghissimo, iniziato un anno fa dopo l’uscita dell’album Costellazioni. Un maxigiro su e giù per l’Italia diviso in tre tranche ben distinte, la prima, la scorsa estate, più elettronica e aderente al disco (Costellazioni Tour), una seconda in inverno, più intima e raccolta (Costellazioni a Sud) e, infine, questa terza, definita più punk e distorta (Firmamento Tour). In un anno, dunque, il tour ha cambiato le vesti sonore, la line-up e forse le atmosfere, ma quello che rimane invariato a ogni live del cantautore ferrarese è quel senso di liberazione fisica che provi poi, alla fine, quando l’ultima nota smette di vibrare. Ma non anticipiamo i tempi.

Il Magnolia in versione “indoor” è soldout, come del resto lo è stato giovedì per la prima delle due conclusive date milanesi. Ad accompagnare Brondi sul palco ci sono Fede Dragogna (I Ministri) alla chitarra elettrica, Matteo Bennici al basso e Paolo Mongardi (ZEUS!) alla batteria.

Il concerto parte subito forte con una manciata di alcuni brani dell’ultimo disco, riarrangiati in maniera più dura, spigolosa. L’impatto è senza dubbio diverso rispetto a quello di Costellazioni tour, ma in qualche modo, così, i brani riescono a rivelarsi sotto un’altra luce, enfatizzando l’incisività dei testi. Personalmente, ritengo che la capacità maggiore del Vasco Brondi autore, sia proprio quella di riuscire a catturarti “disegnando” immagini: piccoli pezzi di fotografie, ricordi, dettagli di vita quotidiana che ti spingono a “sentire inevitabilmente tuo” quasi ogni brano (“Vuoi mettere amarsi in Apecar, sotto la luna?” Questa in scaletta non c’era, peccato). I suoi brani sono o pennellate o calci nei denti, li puoi amare o li puoi odiare, ma credo sia difficile rimanerne indifferenti. E in questa veste, disossati dal sound dell’incisione e rivestiti con esplosioni elettriche (i tre là dietro, hanno pestato come pazzi per un’ora e un quarto) alternate a momenti in cui a dominare è solo la voce di Vasco, i pezzi si fanno ancora più duri e diretti. La conseguenza laterale di questa scelta è che la già poca “distanza live” tra Brondi e il suo pubblico, in questo tour praticamente si azzera: sul palco, infatti, il cantautore balla meno del solito ma in compenso interpreta di più, preoccupandosi di offrire al pubblico non solo il suo trasporto ma anche il senso del suo lavoro.

Tornando alla scaletta, che io sennò divago sempre, non sono mancate la potente Ti vendi bene e classiconi come Quando tornerai dall’estero, una bella versione di Cara Catastrofe e, a impreziosire il tutto, due chicchine interessanti pescate fuori dal suo repertorio. La prima è Curami dei CCCP (Giorgio Canali è poi salito sul palco per suonare Messico Senza nuvole) la seconda invece è una versione cazzutissima (ma cazzuta davvero) di La verità che ricordavo, degli Afterhours.

La scelta di quest’ultimo brano è particolarmente interessante, e vedere Brondi che si chiede se davvero “è così ch’esser sani”, idealmente abbracciato al suo pubblico, è a mio parere, la cartolina più bella della serata.

Il gran finale, come giusto, è destinato ai brani più amati, a partire dalla storica Per combattere l’Acne (che potete vedere qui sotto) fino ai nuovi inni, sempre non in ordine: Le ragazze stanno bene, La Terra L’emilia, la Luna e Destini Generali. Di quest’ultima Brondi ha dato una definizione interessante: un brano che è una liberazione, una gioia collettiva nonostante tutto, un ballo forsennato e libero nonostante le bombe che ci piovono sulla testa. E alla fine, il senso più bello di questo pezzo, di tutto l’ultimo disco e che traspare con forza in questo tour, è proprio questo: vivere il presente, provarci ogni giorno, non aver paura di rendere veri i propri sogni e, soprattutto, guardare al futuro “dormendo poco e ridendo molto”, sempre. Anche se all’orizzonte sembrano esserci solo nuvole nere.

Il messaggio, caro Vasco, almeno per quello che riguarda me, questa sera lo hai ribadito come meglio non si poteva.

Note di colore:

– Prima ho detto che Brondi ha ballato meno del solito. A tenere alto il livello di movimento sul palco, in compenso, ci ha pensato Dragogna che per un’ora e un quarto ha roteato il cranio in maniera così vigorosa che non vorrei essere la sua cervicale il giorno dopo.

– Anche questa volta Giuseppe Peveri era presente. E io, ogni giorno di più sogno di rinascere Giuseppe Peveri. Ma non perché musicalmente parlando è un grande, oppure perché il suo ciuffo piace un sacco alle ragazze. No. Io voglio rinascere Giuseppe Peveri perché lui C’È SEMPRE.

– A fine concerto, ubiqui esattamente come Dente, io e il mio socio ci siamo trasferiti al Sacrestia in Conchetta, per presenziare a questo evento QUI, festa surreale che son sicuro sarebbe piaciuta un sacco pure a Brondi. Ho conosciuto un giapponese romantico fissato coi selfie e con le donne russe (chiamalo scemo), ho ammirato un sacco di latex, tra gli avventori si aggirava il sosia grasso di Billy Zane ma, soprattutto, a ballare come non ci fosse un domani, c’era la copia sputata di Spud, chiaramente in versione colloquio di lavoro e anfetamina.

Exit mobile version