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Recensione – Muse live a Roma 2015 – Bellamy si scopre ragioniere

Recensione del concerto dei Muse all’Ippodromo delle Capannelle di Roma. Un live a cui non è mancato niente ma si è sentita la mancanza di qualcosa, una perfezione che si è specchiata in se stessa, un coinvolgimento dovuto e confezionato, ma si sono dimenticati di riservare un posto per il buon vecchio diavolo.

Roma, un sabato sera di caldazza estiva (umidità e tasso di zanzare niente a che vedere con gli standard milanesi, sappiatelo amici romani, siete fortunati). Ippodromo delle Capannelle, un gruppo di amici da Milano e sul palco loro, i Muse. La band inglese è in tour, ma non propriamente per portare il loro ultimo album, Drones, settimo della produzione. Perché sembra che il vero tour legato all’ultima fatica del gruppo inglese sarà da venire.

Non sarò tecnica, non sarò dettagliata, non entrerò troppo nel merito musicale. Perché di questo concerto mi ha colpito una cosa e di quella voglio scrivere e cioè di quanto sia ragioniere il caro Matthew Bellamy. E questa cosa mi ha colpito talmente tanto che ho fatto i compiti e sono andata a studiare chi fosse esattamente il frontman dei Muse. Non certo un animo da rockettaro, si capisce da come si muove sul palco che non è il classico “droga, sesso e rock and roll” (ma magari non mi sono documentata io a sufficienza). Ragioner Bellamy dicevo. Forse per via della sua voce in falsetto. A tal proposito ho letto che i dottori dopo una visita affermarono di non avere mai visto delle corde vocali così femminee in una laringe maschile. Probabilmente non un complimento per qualche maschio duro e puro (me lo immagino Agafan che nel leggere fa la voce gutturale), eppure questo suo particolare timbro e queste tonalità così alte hanno fatto la sua fortuna.

Forse perché è diventato produttore (gli ultimi due album li hanno prodotti gli stessi Muse con la loro etichetta Helium-3 e dal 2009 hanno persino allestito una sala di registrazione niente meno che nella residenza di Bellamy sul lago di Como). Forse perché diventato “grande” (ha avuto persino un figlio dall’attrice americana Kate Hudson, anche se ora si sono già lasciati e da qualche mese Matthew sta insieme alla modella Elle Evans, classe 1989). Perché prima pare che Bellamy fosse uno di quelli che spaccava la chitarra sul palco (addirittura rompendo il sopracciglio del batterista del gruppo, Dominic Howard).
Uno agitato, insomma, un rocker come ci si aspetta, da copione.

E invece oggi (ma anche qualche anno fa ad un concerto a cui avevo già assistito) mi trovo davanti un purista del suono. Niente da eccepire, ci mancherebbe: Bellamy suona dalla chitarra al pianoforte con una naturalezza e una maestria più che invidiabili. Una voce perfetta anche live la sua o ancora di più live. Eppure l’impressione che lascia, che mi lascia, è quella di un “primo della classe”, di un bravo studente che ha fatto il compitino e si fa bello davanti alla maestra. Forse è vero, i Muse se lo possono permettere. Eppure questo concerto perfetto, con un pubblico coinvolto e che non si risparmia (ne è prova anche il mio abbassamento di voce di cui sono affetta da sabato sera) dura solo poco più di un’ora e mezza. Una scaletta splendida: le vecchie hit alla Time is running out o Starlight, passando dalle più recenti Survival (canzone ufficiale delle Olimpiadi di Londra 2012) e Madness (davvero esaltante la versione dal vivo) per giungere ai singoli dell’ultimo album (Psycho, Dead inside e Mercy). Un mix certamente più rock che ballad, un ritmo sostenuto, non c’è canzone che il pubblico non conosca e per questo mi viene da definirlo non un tour promozionale nel senso stretto del termine. Ma tre bis striminziti e niente più. Due frasi in italiano, quel “grazie mille” di rito e non una virgola in più, non una nota di troppo, nessun fuori programma o fuori scaletta, nonostante i non economicissimi 70 € del biglietto.

Nessuna sorpresa, nel bene e nel male. Un bel concerto, un ottimo concerto, ma che lascia un retrogusto dolceamaro. Ma forse la verità e la causa di questo retrogusto è una e una sola: io non amo i ragionieri.

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