La maledizione de Lo Straniero non si è ancora sopita, e se Camus nel suo capolavoro voleva rappresentare la mancanza di empatia e di sensibilità, ancora oggi noi abbiamo a che fare con un mondo superficiale che coglie delle parole solo l’aspetto più superficiale. Camus, forse, di tutto questo si farebbe una risata dopo essersi accesso un’immancabile sigaretta.
Lo straniero
Nel 1942 Albert Camus diede alle stampe L’Étranger, opera che conteneva in sé una tale novità da essere considerata uno dei momenti filosofici più misteriosi del filosofo francese. Scritto sotto forma di romanzo, L’Étranger apriva al grande pubblico le riflessioni su dogmi fondamentali della società di tutto il mondo: cosa è la giustizia? Quando conta la verità e chi la stabilisce? Quanto conosciamo dell’indole umana?
Riflessioni che apparivano scardinare la filosofa contemporanea, pensando soprattutto che tutta la riflessione di quegli anni era dedicata a sconfiggere il male (Sarte, Russel, Bergson) oppure a fuggire dal mondo per non vedere le atrocità del terzo Reich (Heiddeger).
Camus spariglia le carte e con un gioco dialettico sottile, seppur venduto per semplice, pubblica un libro provocatorio e insieme assolutorio.
Il romanzo, molta famosa per le sue vicissitudini la trama, racconta di un uomo che non riesce più a provare sentimenti per l’umanità. In apertura del libro, da capogiro, troviamo Meursault ai piedi della bara della madre intento a fumare e bere. Un segno di mancanza di emozioni che sconvolge gli astanti, ma che serve ai lettori come introduzione al disagio psichico di quest’uomo in dissoluzione. Celebre è la frase: “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.”, che denota l’estraniamento del protagonista dal mondo reale.
In seguito l’uomo vive una relazione amorosa, ma privandola di ogni sentimento e riducendola ad una pura soddisfazione ormonale, senza provare ancora nessuna emozione.
È l’uccisione di uomo che trasforma la vita di Meursault. Sparare ad un uomo a sangue freddo per divertimento, difficile trovare un’altra parola, dà al protagonista la sensazione di poter decidere della vita degli altri, quello che non può fare con la propria. Il tema del suicidio non compare, essendo da Camus escluso da ogni logica umana nei primi dodici anni di vita, come spiega doviziosamente in una grande opera filosofica come Il Mito di Sisifo, scritta anch’essa nel 1942.
“È un uomo che vive pienamente la vita, non ne è separato, ma al tempo stesso è apatico, come se avesse compreso che la vita semplicemente capita, senza una vera ragione e senza colpe.” Con queste parole Roberto Saviano introduce Lo straniero nella bella edizione di Bompiani, ad indicare la sostanziale indifferenza di Meursault ai fatti che accadono intorno a lui.
Nel prosieguo del libro il tema della giustizia e della libertà individuale vengono affrontanti attraverso lunghi dialoghi, in cui il protagonista mette in discussione le basi della società civile, con argomentazioni seducenti e raffinate.
Lo straniero ebbe grande successo all’epoca, guadagnò anche la stima di Martin Heiddeger che pur voleva il più possibile essere lontano dai filosofi esistenzialisti, imponendo la tematica della mancanza di volontà e di finalità della vita tanto cara in quegli anni a molti altri pensatori.
Ma è soprattutto finita la guerra, negli anni Sessanta, che Camus diventa un riferimento imprescindibile per chi volesse riflettere sulla condizione dell’uomo, strappando addirittura a Jean Paul Sarte lo scettro di filosofo della contemporaneità. Parte del successo di Camus è anche dovuto alle sue posizione politiche, che resteranno sempre libertarie e contro ogni conformismo, mentre Sarte sarà accusato di fare l’occhiolino ai regimi totalitari dell’epoca, soprattutto quello russo.
I Cure e la maledizione
Due opere consegnano Lo straniero al grande pubblico, anzi al grandissimo pubblico possiamo dire oggi.
Una è la traslazione in immagini per la regia di Luchino Visconti del 1967. Il regista italiano regala al cinema l’opera di Camus con grande delicatezza, mantenendo nella direzione il senso di freddo estraniamento che il libro porta con sé per tutte le pagine. Marcello Mastroianni fa il resto: il suo profilo delicato ma anche amaro, restituisce alla perfezione la mancanza di passione sia per il bene che per il male: un uomo sospeso, potremmo definirlo.
Curioso che all’adattamento italiano del libro non faccia seguito, mai fino ad oggi, il lavoro di nessun regista francese, mentre nel 2001, con il film Yazgı (Destino), è il regista turco Zeki Demirkubuz a confrontarsi con Camus.
Altra storia invece sta dietro alla trasposizione musicale fatta da Robert Smith, coi Cure, del libro con la celebre canzone Killing an Arab, del 1979.
Robert Smith, da sempre attratto dai temi dell’alienazione e della paura di perdere sé stessi, scrive un testo distaccato e glaciale, che racconta semplicemente come accadono le cose. Quasi a voler dire la vita è quella cosa che ti passa davanti senza che tu debba parteciparvi.
Standing on a beach
Sto sulla spiaggia
With a gun in my hand
Con una pistola in mano
Staring at the sea
Osservando il mare
Staring at the sand
Osservando la sabbiaStaring down the barrel
Osservo la canna della pistola
At the arab on the ground
C’è un arabo per terra
See his open mouth
Vedo la sua bocca aperta
But hear no sound
Ma non c’è suonoI’m alive
Sono vivo
I’m dead
Sono morto
I’m the stranger
Sono lo straniero
Killing an arab
Uccidendo un araboI can turn and walk away
Posso girarmi e andare
Or I can fire the gun
O posso sparare (ancora)
Staring at the sky
Osservando il cielo
Staring at the sun
Osservando il sole
Whichever I choose
Tutto ciò che scelgo
It amounts to the same
Ha lo stesso valore
È la frase Whichever I choose/ It amounts to the same a rivelarci quello che vuole raccontare Robert Smith omaggiando il libro di Camus: la vita non ha senso, qualunque scelta tu faccia.
Peccato che la canzone, raffinatamente esistenzialista, si trasformi per i Cure in una vera maledizione politica. Dalla sua prima esecuzione infatti, il ritornello diventa un inno degli skinheads inglesi, attratti solo dalla possibilità di mostrare la propria xenofobia attraverso un coro che appare equivoco se estromesso dal contesto (Sono vivo/ sono morto/ sono lo straniero/ Uccidendo un arabo).
Le polemiche arrivano fino a Smith, tanto da indurlo, in quasi tutti i concerti degli anni Novanta, a cambiare il testo in “Kissing an Arab”, come a voler definitivamente far tramontare le polemiche. In parte vi riesce, ma solo fino al 2001, quando lo scoppio della Guerra del Golfo riaccende le polemiche fino a costringere i Cure a rinunciare alla canzone sia nei live, sia nelle raccolte dei grandi successi.
La maledizione de Lo Straniero non si è ancora sopita insomma, e se Camus nel suo capolavoro voleva rappresentare la mancanza di empatia e di sensibilità, ancora oggi noi abbiamo a che fare con un mondo superficiale che coglie delle parole solo l’aspetto più superficiale. Camus, forse, di tutto questo si farebbe una risata dopo essersi accesso un’immancabile sigaretta.