Murakami, L’arte di correre

Scrivere un libro è un po’ come correre una maratona. Ci vogliono, oltre al talento (ma chiamiamola pure predisposizione), costanza, capacità di soffrire e, soprattutto, la bravura nello scendere a patti con noi stessi e i nostri limiti. Ecco la ricetta di Murakami che, con questo godibilissimo volumetto, apre uno squarcio sulla sua vita e sul suo modo di intendere la scrittura

Parallelismo tra corsa e scrittura

Questo bel volumetto, suggeritomi da un amico runner, è qualcosa che si distingue di molto dalla normale produzione dello scrittore giapponese. Pubblicato nel 2007 e tradotto indegnamente in “L’arte di correre” (il titolo originale è un carveriano What I Talk About When I Talk About Running e io, giuro, certe volte non capisco cosa passa per la testa delle case editrici italiane), si legge in un attimo e permette di entrare in maniera oserei dire diretta nel pensiero di uno degli autori più influenti e apprezzati degli ultimi anni. In breve: Nel 1982 Murakami chiude dopo 7 anni il suo jazz pub, il Peter Cat, per dedicarsi esclusivamente alla scrittura. La sedentarietà di questa professione e la sua tendenza ad ingrassare, lo portano quasi naturalmente a praticare jogging, un’attività fisica che si trasforma quasi subito in una passione che Murakami coltiva con dedizione e impegno. Attraverso il suo rapporto con la corsa (ha partecipato a oltre 20 maratone) l’autore giapponese esplora in realtà i limiti e le capacità dell’uomo: il metodo necessario per affrontare degnamente una maratona, infatti, è lo stesso che serve per affrontare al meglio la vita e nello specifico la scrittura. Perché per scrivere un romanzo è necessario metodo, allenamento, costanza. haruki murakami run

Come i muscoli hanno bisogno di un lento e certosino allenamento per rendere sulla distanza dei 42 km, anche le facoltà messe in campo per la scrittura necessitano di un training costante e capillare. Scrivere un romanzo, dunque, è come correre una maratona, lo sforzo fisico è evidente e sfibrante. E qui, in questo bel parallelismo, che si scopre la vera natura di Murakami, il quale, a differenza di quello che i suoi romanzi possono far immaginare, è un uomo che conosce alla perfezione i limiti del suo essere, sa come gestirli e soprattutto sa come allenarli fino a ottenere da se stesso il meglio che può. L’impegno e la disciplina sono la costante della vita dell’autore, che tutti i giorni va a letto presto, si sveglia di buon mattino e dedica tre ore alla scrittura, un’ora alla corsa e infine a tutte le altre incombenze quotidiane. Una tabella di marcia rigorosa che tempra il corpo, ma soprattutto la convinzione mentale, condizione fondamentale per svolgere in maniera proficua la dura professione dello scrittore.

E qui, in questo bel parallelismo, che si scopre la vera natura di Murakami

Sono decisamente tanti i passi interessanti del libro. Ad esempio, è curioso scoprire come l’autore di libri geniali come Norwegian Wood, si consideri uno scrittore dotato sì di un certo talento, ma che ha bisogno, perché il suo lavoro sia efficace di impegno, dedizione e fatica.

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Sfatiamo il mito

Il mito dello scrittore debosciato, che scrive solo da ubriaco ed è un fiume in piena di creatività e lampi di genio viene completamente smontato. L’ispirazione, per il giapponese è come una vena d’acqua sotterranea: perché possa venire fuori e mostrarsi è necessario scavare, cercare, sudare. Altra meravigliosa e, per quello che posso capirne (non sono certo uno scrittore), azzeccatissima definizione è quella relativa a ciò che sta alla base dell’esperienza artistica, definito da Murakami “elemento tossico”, una sorta di veleno che l’artista deve poter maneggiare per poter creare, ma dal quale deve sapersi difendere, attingendo a un’energia prettamente “fisica”. Qui il passo che spiega il concetto, buona lettura.

“Negli anni sembra essersi formata l’equazione artista = debosciato. Nei film e negli sceneggiati televisivi appare spesso questo genere di scrittore stereotipato, o forse sarebbe meglio dire mitizzato. Fondamentalmente, concordo con l’affermazione che scrivere è un’attività malsana. Quando decidiamo di scrivere un libro, cioè di creare una storia dal nulla servendoci di parole e frasi, necessariamente estraiamo e portiamo alla luce un elemento tossico che fa parte del nucleo emotivo dell’essere umano. Lo scrittore se lo trova di fronte e, pur sapendo di correre un pericolo, deve maneggiarlo con abilità. Perché senza l’intervento di quell’elemento tossico, un atto creativo dal significato autentico non è possibile […]. Insomma l‘attività artistica, fin dalle prime fasi del suo sviluppo, ha in sé una componente malsana e antisociale. Lo riconosco volentieri. Proprio per questo, tra gli scrittori e tra gli artisti in genere, non sono pochi quelli che nella vita quotidiana si comportano in maniera sregolata e antisociale. […] Ciò che io penso, tuttavia, è che se speriamo di scrivere a lungo in maniera professionale, dobbiamo costruirci un sistema immunitario specifico che possa neutralizzare quel pericoloso, se non fatale elemento tossico che abbiamo dentro di noi. Riusciremo così a trovare un antidoto più efficace contro un veleno tanto potente. In altre parole, potremo creare storie più forti. E per conservare a lungo questo sistema immunitario personale, è necessaria un’energia non superficiale. Un’energia che dobbiamo cercare da qualche parte. E dove altro possiamo trovarla se non nella nostra forza fisica di base? […]  Per manipolare qualcosa di veramente malsano è necessario condurre una vita più sana possibile. Questa è la mia tesi. Vale a dire che anche allo spirito più vizioso occorre un corpo sano. E viceversa, forse. Comunque è un bisogno che io, da quando sono diventato uno scrittore professionista, continuo a sentire fortemente con tutto me stesso. Il che non significa assolutamente che sano e malsano si trovino agli antipodi. Sono due entità che si compensano a vicenda, e in alcuni casi possono persino combinarsi.” 

Valutazioni emotive:

Felicità – 70%

Tristezza – 30%

Appagamento – 85%

Profondità – 95%

Indice metatemporale – 95%

Voto complessivo - 90%

90%

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Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

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